Il matematico Quarteroni

Trovare l’armonia giusta nell’era dei “big data” fra tecnologia e umanità

Una delle sfide offerte dal mondo contemporaneo, secondo Alfio Quarteroni, è quella di trovare la giusta armonia tra tecnologia e umanità. Quarteroni, matematico docente del Politecnico e accademico dei Lincei, è stato invitato a portare un contributo di riflessione all’inizio della Quarta Sessione sinodale, e nella sua relazione è partito dai “Segni dei tempi” su cui si interroga il secondo capitolo del libro sinodale, tornando con la memoria ai giorni più duri della pandemia.

«Io sono un matematico, e il mondo nuovo in cui mi sono trovato è quello della pandemia e dei dati – ha detto -. Nessuno avrebbe voluto sperimentarlo, ma ogni cambiamento svela nuove opportunità, e il mio contributo alla comprensione di questo nuovo mondo è quello costruttivo e socialmente utile di elaborare modelli matematici che consentano di fare previsioni sulla propagazione del contagio, sulle misure di contenimento, sulle strategie vaccinali, per offrire ai governanti analisi preziose in base a cui prendere decisioni informate. La scienza si pone così al servizio della politica, che a sua volta si pone al servizio della società».

Il nuovo mondo, quindi, è quello dei big data, dove satelliti, sensori e social network offrono un flusso enorme di dati che gli algoritmi analizzano in quella che si definisce “intelligenza artificiale”, la capacità dei computer di imitare le funzioni cognitive della mente umana. «I computer possono imparare in modo autonomo, riconoscere una voce, guidare automobili, prendere decisioni in modo autonomo, decisioni che hanno un risvolto etico. Gli algoritmi di intelligenza artificiale si nutrono dei comportamenti delle persone: i ragazzi davanti al computer possono non esserne consapevoli, quindi è necessario da parte delle istituzioni porre una regolamentazione per salvaguardare la riservatezza delle informazioni personali». Ma Quarteroni, alla luce di questi progressi tecnologici enormi, si pone ancora la stessa domanda di Alan Touring, padre dell’informatica: «Le macchine possono pensare? Le macchine spazzeranno via molti lavori, ma il rischio più grave è che spazzino via il significato. Possiamo differenziarci con quei lavori che sono compassionevoli e creativi, facendo leva su cervelli e cuori insostituibili».

di Federico Gaudenzi

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