Il saluto fraterno del pastore battista

Ecumenismo: «Dopo la pandemia non torniamo a una normalità fatta di conflitti»

Massimo Aprile
Il pastore battista Massimo Aprile

Un’opportunità, segno dei tempi e della fraternità che lega nostre le comunità cristiane: così il pastore battista Massimo Aprile ha introdotto il suo saluto all’inizio della nona Sessione del Sinodo diocesano. Innanzitutto, il pastore ha rivolto un saluto affettuoso ai sacerdoti:

«Ho un sentimento di solidarietà nel vostri confronti per questi anni di lavoro nelle comunità: le nostre assemblee, afflitte dalla pandemia, ci chiedevano aiuto mentre noi stessi eravamo afflitti. La spiritualità del bisogno ha reso questo tempo particolarmente impegnativo, e prego il Signore perché mantenga salda la vostra vocazione».

Dopodiché, ha citato un documento ecumenico dato da una serie di incontri tenuti online proprio durante il primo lockdown, dal titolo “Radicarsi nel nuovo” (disponibile anche online). Un documento che invita, innanzitutto, alla riflessione su cosa sia il “nuovo”, e su cosa significhi tornare alla normalità dopo la pandemia: «Se la normalità è la guerra che minaccia le porte dell’Europa, noi respingiamo questa normalità fatta di conflitti e prevaricazione. Il desiderio che ci accomuna è quello di “nascere di nuovo”: nelle relazioni, nel lavoro che ci assorbe troppo, una rinascita che non si limiti ai singoli, ma che sia comunitaria». Il documento citato, che non è un testo ufficiale della Commissione per l’Ecumenismo, offre però alcuni spunti di riflessione che si ritrovano anche nell’enciclica Fratelli Tutti. In primis, la riflessione sulle vecchie e nuove povertà: «La povertà di chi è senza lavoro, ma anche di chi continua a lavorare e non riesce comunque ad avere il necessario per vivere, la povertà che si traduce nelle disuguaglianze territoriali che affliggono l’Italia e il mondo». Il pastore ha parlato anche della giustizia intergenerazionale, dei profughi e del diritto di cittadinanza: «Come Chiese abbiamo già mosso passi, anche ecumenici (come i Corridoi umanitari), per promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione, o forse solo della giustizia e del diritto, e per dare ai flussi migratori più ordine e dignità. Sappiamo che possiamo e dobbiamo fare di più, sia in termini di sensibilizzazione, dentro e fuori le nostre comunità, sia di aiuto concreto». C’è poi il tema della sanità, emerso con particolare urgenza in questi anni, e quello «della crisi ambientale e della salvaguardia del Creato: non è un accessorio, ma un elemento che sta al cuore della nostra fede». Infine, l’Unione europea: «Non sia l’Europa delle banche, ma delle persone».

di Federico Gaudenzi

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