Nella fede e solo nella fede

Preti preparati a far fronte ai cambiamenti in atto: ne parliamo con il rettore don Anselmo Morandi

Preti preparati a far fronte ai cambiamenti in atto. Don Anselmo Morandi è rettore del Seminario vescovile. Un ruolo che svolge dal settembre 2017. Don Morandi è inoltre incaricato per il Servizio diocesano per il catecumenato, direttore del Centro diocesano vocazioni, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano.

Come si è preparato al Sinodo il Seminario e come prenderà parte alla sua celebrazione?

«Analogamente a quanto è avvenuto nelle parrocchie e nelle associazioni e movimenti, anche i seminaristi, con i loro formatori, hanno riflettuto a partire dalle schede elaborate dalla Commissione preparatoria per la consultazione e hanno offerto il loro contributo per il Sinodo. Il contributo, piuttosto ampio e articolato, è preceduto da una premessa che mi pare importante segnalare. La premessa è questa:

“Auspichiamo che il Sinodo sia vissuto e celebrato secondo la sua vera natura, quella cioè di evento spirituale. In un contesto pastorale, che proprio nella dimensione spirituale incontra grande difficoltà, il Sinodo rappresenta una grande occasione: l’occasione del richiamo alla spiritualità”.

Credo che questo richiamo alla dimensione spirituale del Sinodo sia quanto mai opportuna: come ha più volte ricordato il Vescovo, il Sinodo non è una sorta di grande congresso per discutere e possibilmente risolvere le questioni problematiche della Chiesa di Lodi, ma una risposta allo Spirito Santo che convoca e invita a porsi in atteggiamento di ascolto della Parola di Dio per poter discernere le scelte pastorali più opportune da compiere. Il Sinodo dovrebbe essere un’esperienza attraverso la quale tutti, preti, consacrati e laici, riconoscono che la Parola di Dio precede, procede ed eccede rispetto al pur doveroso impegno pastorale di tutti. Di fatto i seminaristi contribuiranno attivamente a far sì che il Sinodo sia un “evento spirituale”, animando le liturgie nelle sessioni sinodali; queste ultime costituiscono una componente essenziale del Sinodo stesso».

Don Anselmo Morandi
Don Anselmo Morandi, è rettore del Seminario vescovile di Lodi, un ruolo che svolge dal settembre 2017, è inoltre incaricato per il Servizio diocesano per il catecumenato, direttore del Centro diocesano vocazioni e direttore dell’Ufficio liturgico diocesano.
Guardando dall’esterno una giornata del sacerdote oggi, lo si vede celebrare, stare in oratorio, supervisionare la catechesi, gestire la scuola dell’infanzia o essere presente nelle case di riposo; passare da un paese all’altro, celebrare funerali. I parrocchiani si aspettano che sia disponibile e presente. I sacerdoti, dal canto loro, sentono la pressione delle “cose da gestire” e delle domande delle persone? Come poter vivere tutto questo?

«Non v’è dubbio che gli impegni legati all’esercizio del ministero del prete siano molteplici e spazino su tanti fronti, a volte distanti tra loro, come segnala bene Lei nella domanda. Una volta quando ero parroco, un po’ sconfortato dai continui problemi alle caldaie della chiesa, dissi negli avvisi al termine della Messa che il prete più che teologo dovrebbe essere termoidraulico! A parte la battuta, a me pare che tre siano i punti fermi a partire dai quali sia possibile creare le condizioni affinché il prete possa affrontare con serenità la complessità del suo ministero. Si tratta di tre attenzioni che ciascun prete dovrebbe coltivare da se stesso ed essere aiutato a coltivare dall’intero presbiterio guidato dal vescovo.

  1. Custodire gelosamente la propria vita spirituale, vivendo intensamente i momenti liturgici con la propria gente, soprattutto la Santa Messa nel giorno del Signore, e ritagliandosi spazi adeguati per la preghiera personale (penso in particolare agli Esercizi spirituali annuali, come pure a periodici ritiri spirituali). Anche e soprattutto il prete è un uomo di fede e la fede, per il prete come per tutti, si alimenta anzitutto con la preghiera. Nella fede e solo nella fede il sacerdote potrà sempre di nuovo seguire il Signore che lo ha chiamato e adempiere con passione alla missione di pastore. Il ministero del prete deve concepirsi sempre di più come servizio della fede e alla fede. L’insegnamento di Gesù ai suoi discepoli risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27);
  2. Instaurare con i laici un rapporto non solo e non tanto di collaborazione quanto piuttosto di corresponsabilità. Sotto questo profilo credo che il Sinodo, non tanto nei contenuti specifici ma nel metodo, potrà offrire un contributo importante. Nella vita di una Comunità il prete dovrebbe essere l’uomo della sintesi che raccoglie in unità l’azione di molti;
  3. Avere a cuore la qualità della propria vita. Ciò dipende dalla capacità di intessere relazioni significative, sia con i confratelli che con i laici. E dipende altresì dall’apertura alle “cose belle e di valore della vita”, quali l’interesse per la lettura dei libri, l’arte, il cinema e così via… tutte “cose” che arricchiscono la vita di ogni persona che le coltiva, compreso il sacerdote»;
Al numero 378 dello Strumento di lavoro si dice che “Pur riconoscendo che il Seminario non è l’unica realtà nella formazione dei seminaristi, anche oggi la Chiesa universale, e con essa la nostra Chiesa particolare, lo ritengono necessario a motivo del fatto che la formazione dei futuri presbiteri ha un carattere eminentemente comunitario sin dalla sua origine; la vocazione al presbiterato, infatti, è un dono che Dio fa alla sua Chiesa e al mondo, una via per santificarsi e santificare gli altri”. Possiamo approfondire questo aspetto?

«Nella Chiesa registriamo oggi un vivace e interessante dibattito sulla realtà dei Seminari (uso volutamente il plurale perché in Italia le esperienze dei seminari sono piuttosto diversificate tra loro). A livello di Lombardia è da qualche anno che come formatori siamo sollecitati dai nostri vescovi a riflettere su questo tema così importante. Come in ogni discussione, si registrano posizioni differenti tra chi ritiene i seminari ormai obsoleti e chi invece ancora adeguati al loro compito. Vi è però una presa di coscienza comune che mi pare decisiva, che formulerei così: la discussione sulla formazione dei preti è necessariamente dipendente da una riflessione previa sulla strutturazione della comunità credente in Lombardia (e più in generale in Italia) nel prossimo futuro.

Poiché il ministero del prete è un servizio alla Chiesa, non avrebbe molto senso ripensare la formazione del clero senza prima aver preso atto dei cambiamenti ecclesiali a cui stiamo assistendo. In altri termini la domanda sulla formazione dei futuri preti va posta di pari passo con la domanda su come immaginiamo le Comunità di domani (in questa prospettiva il tema della formazione dei candidati al presbiterato, per esempio, si collega strettamente al tema della riconsiderazione delle parrocchie nei termini di Unità pastorale e/o Comunità pastorali). A mio modesto parere, il Seminario – che è molto cambiato nella sua impostazione in questi ultimi decenni – è ancora in grado di preparare i futuri pastori della Chiesa. Esso riesce a garantire in maniera armonica la formazione intellettuale, quella umana, quella spirituale e pastorale, il tutto in un contesto di vita comune, quest’ultima particolarmente rivelativa della personalità di ciascun candidato. La vera scommessa che ha davanti il Seminario è questa: nei prossimi anni dovrà saper offrire percorsi formativi differenziati a seconda dei soggetti in formazione, della loro età, provenienza ed esperienza ecclesiale. È quello che già stiamo sperimentando in questi anni, collaborando con i seminari di Crema, Pavia e Vigevano, soprattutto in riferimento a candidati al sacerdozio che hanno una certa età e che dunque necessitano di essere accompagnati in modo differente rispetto ai candidati più giovani».

di Raffaella Bianchi

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