Un Fondo per le nostre parrocchie

Una riflessione con il vicario generale don Bassiano Uggè sul futuro della Chiesa di Lodi

“Il XIV Sinodo della diocesi è l’occasione per confrontarsi a tutto campo a partire dalle tre tematiche indicate nel titolo: terra, persone e cose”

Il Sinodo è l’occasione per una riflessione a tutto campo sulla situazione della Chiesa di Lodi, a partire dalle tre tematiche indicate dal titolo stesso: terra, persone e cose. Tre elementi da affrontare tenendo a mente che l’attenzione per il territorio e il suo patrimonio non devono mai sostituirsi alla centralità della persona. E proprio per favorire un corretto e più attento utilizzo delle “cose” come strumento di azione pastorale e sostegno alle persone, il Sinodo è chiamato a discutere anche una proposta inserita nell’Instrumentum Laboris, legata alla costituzione di un Fondo diocesano per le parrocchie. A parlarne è don Bassiano Uggè, vicario generale della diocesi, che introduce gli elementi preliminari di un confronto che sarà poi affidato alla discussione dei “sinodali”.

Don Bassiano Uggè
Mons. Bassiano Uggè è vicario generale
della diocesi di Lodi, docente di Diritto Canonico, presidente della Fondazione Casa del
Sacro Cuore. È anche presidente del Fondo diocesano di solidarietà per le famiglie, giudice
del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo
e Vicario giudiziale.

«In realtà, tutto parte dalla lettera presinodale Insieme sulla Via. Già in quel frangente il vescovo aveva evidenziato quella che è una realtà: sul territorio sono presenti strutture dismesse di proprietà delle parrocchie, ossia canoniche di piccole comunità da tempo prive di sacerdote, asili infantili ormai chiusi perché sostituiti da altri edifici più adeguati, e altre strutture non utilizzabili che, dopo un attento progetto di ricognizione e reinvestimento, possano servire per l’avvio di un fondo che supporti la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture di culto e delle strutture pastorali. Le strutture e i beni ecclesiali, come evidenzia il vescovo, non devono essere fine a se stessi, ma sono un’opportunità da custodire perché ne abbiano beneficio anche le generazioni future, e possano continuare ad esistere luoghi dedicati al culto e alla pastorale ecclesiale nelle più diverse declinazioni, tra cui spicca la carità verso i poveri. Bisogna quindi razionalizzare il patrimonio non più funzionale per continuare e, anzi, incrementare le attività della comunità dotandole di spazi adeguati».

Il primo passo, quindi, è la ricognizione del patrimonio?

«Sì, abbiamo già distribuito alle varie parrocchie delle schede per raccogliere informazioni su queste strutture dismesse o non più utilizzabili: terminata la raccolta delle schede, una specifica commissione diocesana potrebbe valutare insieme ai rispettivi parroci e ai Consigli per gli Affari economici se i beni in oggetto non hanno più una utilità pastorale territoriale, o non vi è una reale convenienza ad un loro eventuale cambiamento di destinazione d’uso che tenga presente la finalità sociale e caritativa. La commissione dovrebbe stabilire i tempi e le modalità per il trasferimento del bene in un fondo diocesano concordando un beneficio a favore della comunità da cui proviene in caso di vendita o messa a reddito».

Significa sottrarre alle parrocchie delle proprietà?

«Innanzitutto, per eventuali vendite di queste proprietà sarebbe comunque e sempre necessaria l’autorizzazione della diocesi. Ma poi, spesso, questi beni sono soltanto un costo per la parrocchia, perché si tratta di strutture inutilizzabili, bisognose di manutenzione, il cui peso grava sulla comunità.
Un fondo diocesano potrebbe contribuire a una maggiore consapevolezza del patrimonio esistente, renderebbe più efficiente la gestione, sgravando le parrocchie di alcuni costi».

La direzione, quindi, è quella di una centralizzazione?

«Non c’è nulla di deciso. Il Sinodo viene fatto appunto perché insieme si possa scegliere la direzione da prendere. Questioni di questo tipo vanno affrontate dal punto di vista tecnico, ovviamente, ma devono prima di tutto essere valutate nell’ambito più ampio di una riflessione sul futuro della Chiesa lodigiana. Ad esempio, è necessario considerare innanzitutto la configurazione territoriale della diocesi, dei vicariati e delle comunità pastorali, poiché anche la distribuzione del clero cambia la necessità di utilizzo di alcune strutture. La riduzione del clero e la costituzione di comunità di sacerdoti che vivono insieme va a incidere anche sul patrimonio degli immobili».

Quindi tutto è nelle mani del Sinodo?

«Il Sinodo esprimerà una direzione a partire dagli elementi raccolti nell’Instrumentum Laboris, che richiama la necessità di esprimere sempre la dinamica dell’evangelizzazione, e non dell’autopreservazione. In questo senso, ad esempio, c’è anche l’idea di potenziare l’ufficio amministrativo che sgravi i sacerdoti di alcuni adempimenti burocratici, perché possano dedicarsi con più efficacia all’opera pastorale e di culto. Un altro elemento evidenziato nell’Instrumentum Laboris, che mi sento di condividere, è l’attenzione al fatto che ogni comunità cristiana è costruita anche sulla propria storia e sui propri affetti: la fede del popolo di Dio si rapporta alla memoria familiare e a quella comunitaria, perciò bisogna lavorare con flessibilità e gradualità, per evitare traumi e ferite».

di Federico Gaudenzi

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