L’ora dei laici

Il compito di noi fedeli laici credo sia quello di tessere relazioni, costruire ponti e superare steccati

L’ora dei laici non può più aspettare…. Diciamolo chiaramente: non è espressione univoca. Da una parte c’è chi da tempo auspica una corresponsabilità nella Chiesa, dall’altra chi pensa che i laici dovrebbero darsi una mossa perché i sacerdoti “non possono fare tutto loro”. Tu cosa ne pensi?

«Innanzitutto direi che è un’espressione che non ha accompagnato quel “prendere il largo” che auspicava. La troviamo nella prolusione del Convegno ecclesiale di Verona del 2006, dove si è tentato di ripensare la pastorale legandola agli ambiti di vita, ed è stata ripresa dieci anni dopo da Papa Francesco in una lettera al cardinale Marc Ouellet, in cui sembra esprimere l’attualità di quell’auspicio insieme ad una buona dose di disincanto, arrivando a dire che “questo orologio si è fermato!” Certo è sempre possibile ricaricarlo o aggiustarlo, ma non può avvenire secondo automatismi che non prevedano una radicale conversione comunitaria. Assistiamo ad una diminuzione del clero ma non possiamo pensare ai laici semplicemente come “sostituti”, perché si agirebbe in una prospettiva funzionale e si opererebbe una loro “clericalizzazione” inutile, in quanto difficilmente compresa e accolta. Bisogna invece superare il clericalismo che segna la vita della Chiesa, rivedendo la figura del prete e, direbbe Papa Francesco, rinnovando lo sguardo sulla santità del Popolo di Dio che dovrebbe diffondere il suo odore fino a raggiungere i vescovi stessi».

Ernesto Danelli
Ernesto Danelli, componente del Consiglio di presidenza del XIV Sinodo della diocesi di Lodi, che si aprirà in maniera ufficiale il prossimo 17 ottobre.
Nello Strumento di lavoro del Sinodo si esplicita “il tentativo di decentrare la struttura della parrocchia e di responsabilizzare maggiormente i laici, imparando ad abitare spazi che non sono propri, ma di tutti”, per una parrocchia “casa accogliente per tutti”. Secondo te, cosa significa questo “responsabilizzare”? Si cita poi la necessità di una “vicinanza e condivisione dei passaggi dell’esistenza più dolorosi, delicati, significativi”. A tuo avviso, questo sta avvenendo nelle nostre parrocchie?

«Un’amica, nel numero di Orientamenti Pastorali del dicembre scorso, raccontando la sua esperienza laicale, utilizza l’immagine pandemica delle “bolle” per descrivere una dinamica, molto presente nelle nostre parrocchie, che distingue e separa i laici impegnati nei tanti servizi pastorali (sempre meno) dalla maggioranza dei battezzati che, senza alcun ruolo, vengono visti come “residuali”. Tra questi anche molte persone che sono passate dagli impegni della vita oratoriana e parrocchiale ma che successivamente le svolte della vita li hanno allontanati, a volte anche fisicamente, cadendo in forme di reciproco abbandono con il rischio “di ritrovarsi non credenti senza averlo scelto”. Inutile sottolineare che negli ultimi due anni questo distanziarsi ha subito una accelerazione. Da un altro punto di vista la pandemia ha improvvisamente rotto queste bolle, sospeso i tanti servizi, mischiato i ruoli: i genitori fanno catechesi, i medici consolano e benedicono, il vicino ti accompagna e diventa il tuo sportello di ascolto…Ora che facciamo? Torniamo alla distinzione tra vicini e lontani, tra i nostri e gli altri? Torniamo a responsabilizzare alle cose di Chiesa separandole dalle cose della vita? I passaggi che tu citi dello Strumento di lavoro del Sinodo sembrano indicarci un’altra via, legando la responsabilità laicale ad un ripensamento della parrocchia come realtà aperta e accogliente. Su questa strada il testo fa appello anche alle associazioni e ai movimenti che oggi, sia per ragioni culturali sia per ragioni di impostazione pastorale eccessivamente preoccupata ad intra, faticano a trovare spazio».

Tu da sempre sei nell’Azione cattolica, associazione di laici al servizio della Chiesa. Sei insegnante. Vivi in prima persona questo essere presente, come laico, negli ambienti della vita ordinaria. Cosa vorresti dire ai laici, giovani e adulti, della diocesi di Lodi?

«Innanzitutto sono un battezzato sposato e come tale sono chiamato ad abitare la vita. Come tanti ho fatto l’esperienza della fragilità e del limite e contemporaneamente quella del dono di una fede condivisa e testimoniata da tanti fratelli, a volte oltre la stessa comunità cristiana. In diocesi ho incrociato strade di tanti fedeli laici che si sono messi in gioco con coraggio, a volte in modo nascosto, trasformando e trafficando la loro vita. C’è chi dedica con generosità il proprio tempo agli altri in un impegno sociale o politico, ci sono giovani che credono nell’amore generativo, coppie che hanno allargato la propria paternità e maternità ai figli di altri, chi ha deciso di accogliere sotto il proprio tetto, chi ha voluto abitare lo spazio del confronto culturale, chi ha fatto scelte di consumo e di vita solidale, chi ha affrontato con tenacia e speranza la prova della sofferenza e della morte. C’è chi è capace di compassione e chi si fa educatore di giovani in ricerca. Insegnanti, non solo di religione, che vivono la propria professione come missione… Tutto questo non per un incarico o per mandato ricevuto ma perché radicati in una Parola che salva e aperti alla docilità dello Spirito. Queste sono testimonianze, a volte pastoralmente ignorate, che dicono a tutti che anche oggi è possibile la gioia della fede e gustare una vita piena. Mi incuriosisce notare che queste cose nascono sovente abitando le periferie geografiche ed esistenziali, come fossero le Galilee di oggi. Ha forse ragione Papa Francesco quando ci invita a ripartire da lì? Non parlo di eroi, ma di gente che vuole camminare insieme, che ha bisogno di relazioni profonde e che chiede una comunità attenta dove potersi rigenerare.
Il compito di noi fedeli laici credo sia quello di tessere relazioni, costruire ponti, superare steccati. Ai pastori chiediamo uno sguardo di simpatia, una mano amica, un incoraggiamento quando la strada comincia a salire. Insieme, oltre ogni personalismo e forma di possesso».

di Raffaella Bianchi

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