13 luglio 2025 - XV Tempo ordinario

Prospettiva ribaltata

Quando hai a che fare con Gesù, devi essere pronto ad un ribaltamento di prospettive. È quello che accade ad un esperto della Legge che, pur conoscendo già la risposta, interroga il Maestro senza troppa voglia di lasciarsi coinvolgere. Chiede infatti come ereditare la vita eterna, e quando Gesù gli gira la domanda, è pronto a rispondere con quel comandamento dell’amore che la Legge di Mosè già prevedeva: amare Dio e amare il prossimo. Ma «volendo giustificarsi» (così precisa l’evangelista), il tizio solleva una questione che probabilmente era dibattuta: «E chi è il mio prossimo?». Un’interpretazione stretta identificava il «prossimo» con i componenti del nucleo familiare. Una lettura più ampia includeva gli appartenenti al popolo di Israele, eventualmente anche lo straniero ospite in casa. In ogni caso, la categoria «prossimo» era intesa come una limitazione: l’amore che mi è richiesto deve arrivare fin lì. Dunque, rispondere alla domanda su chi sia il prossimo voleva dire quantificare l’amore richiesto dal comandamento.

Cosa fa Gesù? Risponde con una parabola, raccontando cioè una scena verosimile: un viaggiatore derubato e malmenato, che viene ignorato dai pii religiosi, mentre sarà soccorso da un Samaritano, cioè uno straniero dalla fede considerata imperfetta. La vicenda la conosciamo bene. Ciò che deve sorprenderci non è soltanto la generosità del soccorritore, ma anche la domanda che Gesù, alla fine, rivolge al suo interlocutore: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». La questione, allora, non è più: chi è il mio prossimo, ma: a chi posso farmi prossimo io. Nel primo caso, identificando la categoria «prossimo», rischiamo di decidere chi merita le nostre cure e chi no, o comunque mettiamo un limite, dicendo: fino a quel punto devo arrivare, ma non sono tenuto ad andare oltre. Il ribaltamento operato da Gesù spalanca le porte ad un comandamento dell’amore che non ha limiti, perché chiunque può diventare destinatario delle nostre cure. D’altronde, l’amore vero si spende, si dona, e i limiti gli vanno stretti. Basti vedere l’esempio di Cristo, che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45): ecco la misura dell’amore di Dio, che chiede di prendere corpo nelle nostre relazioni quotidiane. Più ci lasceremo contagiare da questo amore, spendendoci come lui si è speso, e più la sua vita troverà spazio in noi: così il passaggio alla vita eterna avverrà con naturalezza, perché non sarà qualcosa di estraneo appiccicato all’improvviso ma una presenza già familiare.

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