6 luglio 2025 - XIV Tempo ordinario

Due tentazioni per i missionari

Gesù sceglie settantadue discepoli e li invia a due a due perché lo precedano con la loro predicazione, preparando il terreno per il suo arrivo. Dentro questa scena notiamo come il Signore sia ben consapevole di due rischi che hanno a che fare con la missione di chi annuncia il Vangelo, entrambe tentazioni che solleticano l’orgoglio, e dunque riguardano la superbia.

La prima tentazione che emerge è quella di annunciare solo a chi vuole ascoltare. Certo, Gesù dice di scuotere la polvere dai piedi e andarsene via da quelle città che non accolgono i missionari, ma nel dare istruzioni ai suoi discepoli comanda loro di proclamare: «sappiate però che il regno di Dio è vicino». Una sorta di stoccata finale del missionario rifiutato, che non deve permettersi di lasciare il luogo ostile senza almeno un annuncio essenziale della venuta del regno. Chissà, forse quella rapida battuta, che non nasconde echi minacciosi, farà breccia nel cuore di qualcuno e porterà a risultati insperati. D’altronde, la Parola annunciata e lo Spirito Santo in azione sono faccenda divina: non spetta a noi decidere in partenza chi sia un caso disperato.

C’è poi una seconda tentazione, che questa volta non riguarda l’insuccesso ma, al contrario, proprio la missione andata a buon fine. I discepoli inviati da Gesù tornano a lui carichi di entusiasmo perché «anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Ed è verissimo che il nome di Gesù, in quanto Figlio di Dio, ha autorità e potere anche sulle potenze del male, tanto che il Signore stesso risponde: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore». Ma subito, fiutando il rischio che i cuori dei discepoli si insuperbiscano, aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». Insomma, motivo di gioia non deve essere tanto il successo della missione: questo fa sicuramente piacere, specie pensando ai cuori che si sono spalancati alla salvezza. Ma non è così remoto il rischio che la soddisfazione, anche quella per cose sante come l’evangelizzazione, solletichi l’orgoglio al punto da generare autocompiacimento, e dunque superbia. Ciò di cui è invece sempre opportuno rallegrarsi è il fatto che ciascuno di noi è destinato al paradiso, alla vita eterna con Dio, alla gioia senza fine insieme a tutti i salvati: se teniamo viva nel cuore questa certa speranza, ogni cosa buona che faremo, dalla più piccola alla più sensazionale, sarà mossa dall’amicizia con Cristo e animata dal suo Spirito. E allora produrrà una gioia che non sarà solo per sé o per pochi, ma gioia per tutti.

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