Qual è il frutto della fede? La prima impressione, di fronte alla scena del Vangelo di questa domenica, potrebbe essere che il frutto sia la guarigione. Ma non è esattamente così. Abbiamo dieci uomini malati di lebbra che si fidano di Gesù «maestro» (con questo titolo si rivolgono a lui) e gli chiedono di aver pietà di loro. Cristo risponde inviandoli ai sacerdoti. Non sta passando la palla ad altri, ma sta ordinando loro di compiere un’azione apparentemente senza senso: secondo la Legge antica, infatti, erano i guariti dalla lebbra a doversi presentare ai sacerdoti perché la guarigione fosse verificata e si potesse poi offrire un sacrificio di ringraziamento al Signore. Ma questi dieci non sono mica guariti: sono ancora lebbrosi. Eppure Gesù li invia ai sacerdoti, e questi, fidandosi, mentre vanno vengono effettivamente purificati.
Ma solo uno torna a ringraziare Gesù, il quale non manca di farlo notare. La reazione di Cristo, ancora una volta, non è da fraintendere: non sta facendo l’offeso per la mancata gratitudine degli altri nove. La questione è più profonda: soltanto uno, infatti, riconoscendo da chi gli era arrivata la guarigione, è riuscito a compiere il passaggio da un Gesù maestro ad un Gesù salvatore. Quella che prima era soltanto fiducia, ora si è trasformata in fede, ed è grazie alla fede che quell’uomo passa dalla guarigione alla salvezza. Infatti, gli dice il Signore: «la tua fede ti ha salvato!». Facendo notare l’assenza degli altri nove, Cristo segnala un rischio tutt’altro che remoto: quello di rimanere bloccati, di non compiere il salto di qualità, fermandosi ad un livello di relazione con lui che non è ancora davvero fede.
I miracoli di Cristo sono sempre dei «segni», come li chiama il Vangelo di Giovanni. Segni perché richiamano qualcosa di ulteriore: la salvezza. Liberare un indemoniato, risanare un infermo, addirittura risuscitare un morto, per quanto azioni sensazionali, rimangono gesti che rinviano a quella salvezza che il Figlio di Dio è venuto a portare. Fermarsi al solo miracolo equivale ad accontentarsi di uno star bene terreno, che prima o poi comunque passa. E significa trattare Gesù alla stregua di un erogatore di benessere, come hanno fatto i nove lebbrosi guariti. Rimanendo bloccati a questo livello si perde quel “di più” che in realtà è l’essenziale: la salvezza, cioè il vero bene che Cristo è venuto a portarci. Passare dal maestro e guaritore al Cristo e salvatore: ecco la fede. E questa spalanca alla possibilità di sperare in qualcosa di eterno, ben di più rispetto ad un benessere che dura quel che dura.