Ci sono passaggi del Vangelo che possono spiazzarci. Questa domenica ce ne presenta uno. Perché noi siamo abituati ad immaginare un Gesù a colori pastello, mite e buono, dolce e mansueto. Così, quando afferma di essere venuto «a gettare un fuoco sulla terra», i toni ci sembrano un po’ troppo forti. E se dichiara di essere «angosciato finché non sia compiuto» ciò che lui è venuto a fare, ci pare strano: l’angoscia è uno stato d’animo che si addice al Figlio di Dio? Non è finita qui, perché poi rincara la dose: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». Ma come? Non è lui il Principe della pace? Lo invochiamo così quando ci prepariamo al Natale, e poi, una volta cresciuto, scopriamo che quel bambino è venuto per portare divisione… Ma il divisore non era il diavolo? C’è qualcosa che non quadra. Non saremo mica stati ingannati?
Quando incontriamo parole, gesti e stati d’animo di Gesù che ci sembra non si addicano al Figlio di Dio, fermiamoci un momento e ringraziamo. Sì, ringraziamo. Perché quei passaggi del Vangelo ci aiutano ad uscire dall’immagine troppo idealizzata che, in un modo o nell’altro, tutti finiamo per crearci di Gesù. Se prendiamo solo una sua caratteristica, mettendo tra parentesi le altre, ecco che l’idea che ci facciamo di lui è parziale. Incontrando scene del Vangelo che ci spiazzano, siamo invitati a metterci un po’ in discussione. Forse le tinte pastello non sono adatte a tutti i momenti della vita di Cristo: ci sono parole forti, stati d’animo più turbolenti, esattamente come accade nell’esperienza di ogni uomo e ogni donna di questa terra. Perché il Figlio di Dio si è fatto davvero uomo, non per finta.
E poi c’è la questione della pace che domanda di essere chiarita. Gesù è sì il Principe della pace: la pace autentica, quella che viene da Dio Padre, ci raggiunge solo attraverso il suo Figlio. Pertanto, lungi da lui essere il divisore! Ciò che Gesù sta dichiarando nel nostro brano è la necessità di operare una scelta. Di fronte alla proposta del suo Vangelo, di fronte ad un Messia che non interviene con la forza ma si lascia inchiodare ad una croce, di fronte alle esigenze della fede che domanda di adottare uno stile di vita coerente con quanto professato, ecco che una scelta si fa urgente: lo accolgo e converto il mio modo di pensare e agire, oppure rispondo con un “no, grazie” (magari intimorito, magari menefreghista)? Decidere significa prendere posizione per il Vangelo o contro di esso, per Gesù o contro di lui. E questo genera necessariamente delle divisioni, perché ci sarà chi dice di sì e chi dice di no: nessuno è costretto ad accogliere Cristo come proprio Signore, altrimenti la nostra non sarebbe una decisione libera, ma solo un’imposizione dispotica. E lo sappiamo: non può esserci felicità nel dispotismo.