Conosciamo le Beatitudini classiche. Be’, magari non le ricordiamo proprio tutte a memoria, ma almeno qualcuna ci è sicuramente rimasta scolpita nel cuore. «Beati voi, poveri… voi, che ora avete fame… voi, che ora piangete… Beati voi, quando gli uomini vi odieranno»: nel Vangelo di Luca le troviamo al capitolo 6 (vedi Luca 6,20-23). Ad ogni categoria citata, Gesù assicura un grande motivo di gioia. Ma ecco che, sei capitoli più avanti, Cristo torna a dichiarare beato un altro genere di persone, dentro una similitudine particolarmente eloquente. Il Signore proclama beati «quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli».
Se c’è la possibilità che l’attesa del ritorno del Signore si faccia lunga, mettendo alla prova la perseveranza dei suoi fedeli, siamo avvertiti: saremo certamente assaliti dalla tentazione di lasciar perdere, di scendere a compromessi, di pensare che possiamo permetterci di abbassare la guardia perché, in fin dei conti, ci meritiamo anche qualche consolazione, no? E poi questo Signore che si fa attendere, non è un po’ irrispettoso? Ma in fondo, tornerà davvero? Chi me lo fa fare di attenderlo quando nemmeno so con certezza se verrà? Questa tentazione è certa: prima o poi coglie tutti, anche se magari non viene formulata coscientemente. Ma Gesù non dichiara beati quelli che non vengono tentati: sarebbe una beatitudine impossibile. Beati sono invece coloro che, «pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese», sanno perseverare nell’attesa.
Una tentazione certa, una fatica per rimanere nella perseveranza. Più che motivo di gioia, tutto ciò sembra ribadire la difficoltà di stare al mondo, anche dentro l’esperienza della fede. Però il Vangelo di questa domenica si apre con parole rassicuranti: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». Parole che lasciano presagire qualcosa di buono perché il Padre, amandoci come figli, ha un occhio di riguardo per noi. E infatti ecco che per quanti si dimostrano fedeli la ricompensa promessa è sorprendente: il padrone, cioè lo stesso Figlio di Dio, «si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli». Non proprio un comportamento da Dio, ma da servo. Eppure è questo che il Signore compirà per noi, come ha fatto durante l’ultima cena nella lavanda dei piedi. E se l’ha già fatto una volta, possiamo fidarci: è davvero questo lo stile di Dio. Un Re con il grembiule, perché regnare è servire.