2 marzo 2025 - VIII domenica del Tempo ordinario

La guida e il fosso

Hai mai provato a camminare nel buio fitto? Avanzare senza vedere dove si mettono i piedi, in un ambiente totalmente sconosciuto, è un’impresa ardua: ci si sente smarriti, sprovvisti degli strumenti necessari ad affrontare la vita. Ma se c’è chi ti guida, e se della guida ci si può fidare, allora la situazione si trasforma. A Milano puoi farne esperienza: si chiama “Dialogo nel buio” ed è un’esperienza sensoriale in cui, in un percorso nelle tenebre più totali, la vista è messa da parte e sei costretto ad affidarti agli altri sensi. Ma ciò non sarebbe possibile senza una guida che ti accompagni nell’esplorazione e venga in tuo soccorso quando non capisci quale direzione prendere. E le guide, tutte non vedenti o ipovedenti, sono completamente padrone della situazione, sanno come muoversi e dunque anche come condurre te. Perché, in questo caso, il cieco sei tu. Non aggiungo altro, per non toglierti il gusto della sorpresa: consiglio di provare l’esperienza, e imparare da essa.

Le parole di Gesù, dunque, non hanno bisogno di grande spiegazione: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?». Ma certo. Se la guida non ha esperienza, l’esito tragico è inevitabile. Se però è attrezzata dell’equipaggiamento necessario, competente e dunque in grado di indicare la strada giusta, allora tutto cambia. Così accade al “Dialogo nel buio”, dove il vero non vedente sei tu. E in qualche modo (con tutti i distinguo del caso) è quanto puoi sperimentare come quando hai ospiti a casa e va via la luce: conoscendo l’ambiente, tu sei decisamente meno cieco degli altri, e hai la possibilità di muoverti con un po’ più di sicurezza, anche se sempre a tentoni.

Ma allora, qual è l’attrezzatura che occorre per essere guide? Gesù non afferma che per condurre altri bisogna essere perfetti. Anzi, egli invita a riconoscere la trave nel proprio occhio e, ovviamente, a rimuoverla: solo così ci vedremo bene per aiutare altri con le loro pagliuzze. Soltanto riconoscendosi peccatore e bisognoso di salvezza, quindi lasciandosi salvare, il credente può diventare un testimone che aiuti gli altri. Meglio un cristiano un po’ ammaccato dalle cadute ma rialzato dalla misericordia del Signore, che uno tanto sicuro di sé da pensare di poter bastare a se stesso. Chi non riconosce il proprio bisogno di essere salvato non può aiutare altri, perché esclude il Salvatore dalla sua vita. E questo è pericolosissimo: si illuderà di offrire la salvezza, quando invece non farà altro che proporre se stesso, i propri pensieri, le proprie ricette, che in realtà non salvano nessuno. Il fosso è lì, pronto ad accoglierlo, insieme a quanti trascinerà con sé.

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