Sono passati duemila anni, ma una cosa è rimasta uguale: ad essere collocati in posti d’onore sono gli invitati più importanti. Nelle serate di gala sono i vip o gli sponsor, nei ricevimenti di nozze coloro che hanno legami di parentela più stretti con gli sposi. Certo, oggi è più difficile che, per sbaglio o presunzione, qualcuno si accaparri una postazione più importante del dovuto, visto che i posti a sedere vengono assegnati secondo l’etichetta e, ai pranzi di nozze, gli invitati sono accuratamente distribuiti in tavoli-isole, simpaticamente contrassegnati da nomi di supereroi, modelli di auto o località tropicali. Al massimo ci sarà qualcuno che si offende perché sperava di stare un po’ più al centro dell’attenzione. Ai tempi di Gesù, evidentemente, poteva capitare che il brillante di turno saltasse avanti per ostentare importanza, per poi sentirsi dire che quel posto deve essere ceduto a qualcun altro. Ecco, basta il buonsenso per capire che azzardare troppo, in questi casi, spalanca le porte alle figuracce.
Gesù ricorre a questa scena, tutt’altro che improbabile, per richiamare una virtù tanto importante quanto sottovalutata: l’umiltà. E aggiunge la raccomandazione ad invitare a pranzo o a cena non coloro che poi potranno contraccambiare, ma gli ultimi, i poveri, quelli che non avranno la possibilità di ricambiare l’invito. Per il cristiano, la misura della vera grandezza è quella assunta dal Figlio di Dio che si è fatto piccolo, nascendo come bambino e accogliendo la condizione mortale degli esseri umani, per poi vivere coerentemente con questa piccolezza nella mitezza e cercando la compagnia degli ultimi. È lui il «mite e umile di cuore» (Matteo 11,29) che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Marco 10,45) e chiamare non «i giusti, ma i peccatori» (Matteo 9,13). Promemoria di questo stile divino sono la lavanda dei piedi e la croce.
Essere discepoli di questo Maestro non significa reprimere le proprie doti e capacità: umiltà e svalutazione di sé sono due cose diverse. Ricordiamo che, nella parabola dei talenti, a meritare il rimprovero è proprio colui che, per paura, nasconde il patrimonio in una buca nel terreno. Al contempo, un’altra parabola ci avverte che chi accumula tesori solo per sé, finisce per non guadagnare il regno dei cieli. L’esempio e le parole di Gesù ci invitano, invece, ad un investimento che porti frutto, ma in favore degli altri: coltivare le proprie capacità e metterle a disposizione del bene altrui, non nell’ostentazione e per autoesaltazione, ma nello stile del servizio, che sa mettersi in ginocchio e prendersi cura delle ferite e delle miserie. Potremo allora essere anche noi una via attraverso cui il Signore trasforma il mondo e i cuori.