Pietro e Paolo, due storie molto diverse: uno pescatore della Galilea, l’altro fariseo infervorato dal rispetto della Legge di Mosè. Entrambi sono chiamati da Gesù, ma in tempi e modalità differenti: Pietro in riva al lago all’inizio della predicazione di quel Maestro ancora poco conosciuto, Paolo raggiunto sulla via da un Cristo ormai morto e risorto. I loro diversi temperamenti e le loro sensibilità emergeranno durante i primi anni di vita della Chiesa, ma sapranno comporsi in un camminare insieme in favore dell’annuncio del Vangelo, fino a quell’epilogo che, ancora, li accomuna e li differenzia: entrambi martiri a Roma, ma in modalità e momenti diversi. In questa solennità guardiamo ai due apostoli con ammirazione e forse anche con un po’ di timore reverenziale, senza però dimenticare la loro umanità, le fatiche e tutti quei tratti che li rendono simili a noi, e che quindi ci ricordano come anche per noi sia possibile realizzare la missione affidataci. Non possiamo poi non notare che le letture proposte dalla liturgia di oggi sono tutt’altro che trionfalistiche: c’è, sì, qualcuno che viene esaltato, raccontandone le meraviglie, ma non si tratta né del principe degli apostoli né dell’apostolo delle genti.
È Gesù stesso, nel Vangelo, a guidare il nostro sguardo verso il Padre, origine di ogni cosa buona: quando Pietro dà la sua risposta esatta («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»), Gesù lo dichiara «beato» perché ha saputo assecondare l’ispirazione venuta dal Padre. Così poi gli Atti degli apostoli ci raccontano la prodigiosa liberazione di Pietro dal carcere, scena in cui il vero protagonista, come riconosce lo stesso apostolo, è «il Signore [che] ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (At 12,11). Il Salmo ci fa rivolgere a quel Signore che «mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato» (Sal 34,5). Paolo, infine, scrivendo a Timoteo, riconosce che è il Signore ad avergli dato la forza per «portare a compimento l’annuncio del Vangelo»; e sapendo che si sta avvicinando il momento del martirio, aggiunge: «Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno» (2Tm 4,17-18).
Insomma, sembra proprio che, nel ricordo dei due apostoli, l’anima della festa sia qualcun altro: è il Signore ad aver compiuto grandi cose, anche in loro. Con i santi funziona così: la loro grandezza si vede nel momento in cui sono le grandi opere di Dio a manifestarsi attraverso le loro persone e le loro vicende. E davvero «beato» è chi riesce ad essere così amico del Signore da diventare trasparenza della sua divina bontà, come suggerisce ancora il Salmo: «Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia» (Sal 34,9).
