L’innesco della scena è interessante: qualcuno dei discepoli chiede a Gesù di insegnare loro a pregare. Intuiamo che, sebbene la preghiera sia un’azione comune al genere umano, comporta qualcosa di non automatico, che deve quindi essere insegnato. C’è modo e modo di pregare: occorre imparare a sintonizzarsi sulla frequenza di Dio. Non perché Dio non sappia o non voglia accogliere invocazioni di qualunque genere o in una qualsiasi lingua, o anche quelle silenziose, ma perché siamo noi ad aver bisogno di sapere con chi stiamo entrando in relazione. Così anche la preghiera, come ogni relazione, ha bisogno dell’innesco giusto. Ed è Gesù stesso ad indicarcelo, in una risposta piuttosto articolata che possiamo tentare di riassumere in tre punti.
Prima caratteristica: chiedere con insistenza il pane per un amico. La scena a cui Gesù paragona il nostro rivolgerci a Dio è quella di un amico che chiede insistentemente ad un amico il pane per un altro amico. C’è in gioco qualcosa di vitale (il pane) e un intreccio di amicizie, che dice il prendersi a cuore la situazione di qualcuno a cui si vuole bene e per il quale si è disposti anche a scomodarsi, a rischiare una brutta figura o una porta in faccia. Chiedere l’essenziale per qualcuno che si ama: ecco un primo elemento che innesca la preghiera secondo Gesù. A questo è legato il secondo: avere fiducia nel Padre, perché convinti che darà qualcosa di buono. Se chiedi qualcosa a qualcuno, confidi che la risposta sarà affidabile. Con gli esseri umani non è così scontato, ma si può presumere (e Gesù gioca proprio su questo) che un genitore, amando i propri figli, non darà loro qualcosa di cattivo. Figuriamoci Dio: lui che è buono, lui che è tutto bontà e amore, Padre privo di qualsiasi difetto che potrebbe avere un genitore umano, darà certamente cose buone ai suoi figli che gliele chiedono.
Ecco due elementi indispensabili per l’innesco della preghiera cristiana: chiedere qualcosa di vitale perché si vuole bene a qualcuno, e chiederlo ad un Dio che è Padre e di cui ci si fida. Rimane un terzo punto, che non deve sfuggirci: la richiesta rivolta al Padre, nella preghiera consegnataci da Gesù, recita: «dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano». La domanda non è formulata una volta per sempre, e non si tratta nemmeno di una richiesta saltuaria, bensì quotidiana. La preghiera cristiana non è l’ultima spiaggia dopo che si è provato tutto il resto. Non è l’eccezione per quella volta in cui non ce la faccio a camminare con le mie gambe. Non è la rete di sicurezza dell’equilibrista, che serve soltanto se l’acrobata non è bravo nella sua arte. È invece relazione con un Padre buono che desidera dare cose buone indispensabili alla vita: la preghiera deve essere il terreno stesso su cui camminiamo, l’aria che respiriamo, il ritmo con cui batte il nostro cuore.
Non l’eccezione, ma la quotidianità. E se è faccenda quotidiana, allora cresce ed evolve insieme a noi, assume il colore e il sapore di quello che accade nella nostra vita, proprio come una relazione autentica con Qualcuno di vero.
