Come domenica scorsa, i discepoli sono insieme, ma manca qualcuno. E come domenica scorsa, c’è un qualcosa che li blocca: là era la paura di fare una brutta fine, motivo per cui si erano rinchiusi in casa; qui è una notte di pesca infruttuosa, sintomo che qualcosa nel meccanismo si è inceppato. A noi, che il Vangelo lo conosciamo almeno un pochino, e che abbiamo già ascoltato scene di pescatori con reti vuote che poi miracolosamente si sono riempite, il contesto di una pesca senza pesci suggerisce già come andrà a finire. Ciò che stupisce, forse, è che ci troviamo ormai alla fine del Vangelo (siamo al capitolo 21, che è l’ultimo di Giovanni) eppure ai discepoli non è venuto il sospetto che sarebbe stata necessaria la presenza di Gesù per una pesca di successo. L’avevano seguito, l’avevano conosciuto, avevano creduto in lui vedendo i suoi miracoli e poi, con le sue apparizioni, avevano toccato con mano il suo essere risorto: com’è che adesso sembrano dimenticarsi di lui e faticare a riconoscere i segni della sua presenza?
Quando si è dentro le vicende faticose può essere difficile riconoscere le tracce del Signore che cammina accanto a noi nella quotidianità. Presi dalla frenesia degli avvenimenti, dalle incombenze da rincorrere, dalle emozioni che urlano nel cuore, rischiamo proprio di smarrire ciò che per un cristiano dovrebbe essere ovvio: che solo con Gesù la nostra vita porta frutto. Abbiamo bisogno anche noi, come quei discepoli, di fermarci sulla spiaggia del lago, sulla riva del nostro ritmo quotidiano, e qui sederci in compagnia di Cristo e dei credenti per leggere gli avvenimenti con gli occhi del Risorto, liberi dai nostri criteri troppo distanti dai suoi.
Lì, in disparte con lui, in quella sosta che (almeno) ogni domenica la Messa reclama (ma anche ogni giorno, nella preghiera quotidiana ed eventualmente nell’Eucaristia), possiamo sentire rivolte a noi le insistenti domande che avranno fatto sobbalzare il cuore di Pietro: «mi ami più di costoro?», «mi ami?», «mi vuoi bene?». Chissà quante obiezioni potrebbero sorgere in noi, un po’ come era capitato a Mosè che, davanti al roveto ardente, accampava scuse, di volta in volta smontate dal Signore. Ma se abitiamo l’amicizia intima con il Risorto, con quel Gesù che ha dato tutto per amore di ciascuno di noi, allora dobbiamo riconoscere che l’unica risposta esatta è proprio Pietro a suggerircela: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Se anche noi, disarmati, sapremo ripetere queste sue parole, l’amore di Gesù troverà sempre più spazio per farsi largo nel nostro cuore, e con il suo invito («Seguimi») chiederà di farsi corpo nel nostro vivere quotidiano, nelle scelte di ogni giorno.
