
Il Duomo di Lodi, in apertura del VII Congresso Eucaristico diocesano la scorsa domenica 24 settembre, ha accolto l’Orchestra Sinfonica Esagramma, una realtà musicale, ma anche terapeutica e formativa che valorizza – attraverso la metodologia della MusicoTerapiaOrchestrale® – il potenziale della musica come linguaggio capace di trascendere i limiti che l’esperienza della disabilità porta con sé. La cattedrale, al risuonare delle note dei musicisti di Esagramma, si è trasformata in uno scrigno di perle preziose; non una di quelle casseforti che necessita di restare chiusa per tenere tutto al sicuro, ma una “scatola musicale” che assolve pienamente alla propria funzione solo se viene aperta affinché i suoni possano uscire, liberi di raggiungere gli altri e diventare scaturigine di emozione.

A precedere il concerto dell’orchestra (evento promosso dalla Caritas Lodigiana con il sostegno della Fondazione Comunitaria della Provincia di Lodi), le riflessioni di mons. Pierangelo Sequeri, teologo, musicista e fondatore di Esagramma, che ha introdotto i musicisti – ragazzi e ragazze portatori di disabilità, accompagnati dai propri maestri – con queste parole: “Una prodigiosa alleanza tra i simboli della musica, che arrivano direttamente, creano un’emozione immediata senza passare attraverso la parola… È una forma bellissima di caritas elegante”, com’è in un certo senso il buon vino donato e moltiplicato dal Signore. “Una piccola comunità strepitosa che a suo modo realizza questo elemento simbolico dell’Eucaristia. Fa musica, e quindi ferma tutto il resto”. Una musica che è fatta da “ragazzi che in alcune situazioni faticano a passare attraverso le parole, e che invece attraverso la musica, anche impegnativa, comunicano benissimo”. È proprio questa alleanza “prodigiosa” descritta da mons. Sequeri che è capace di farsi “riconoscere attraverso l’eleganza della musica, cioè del simbolo, cioè in qualche modo del sacramento”.
Il contesto del Congresso Eucaristico ha aiutato a cogliere più in profondità il nesso tra queste parole. Il dono che Cristo fa del pane e del vino, e quindi il dono di se stesso, è un gesto moltiplicatore della carità, dell’amore, che il Signore ci ha affidato come il comandamento più importante. Mons. Sequeri ha introdotto il concerto, un repertorio che ha spaziato da Gershwin a Beethoven, passando da Grieg e da una propria composizione di musica sacra, approfondendo alcuni aspetti essenziali che, da soli, sono capaci di mantenere viva l’esperienza della Chiesa proprio perché ne sono stati alla base fin dai suoi primi passi nella storia. Potremmo riassumerli nel dono dell’Eucaristia e nel comandamento dell’amore fraterno e vicendevole. Dio si rivela a noi non solo come Padre, o come Figlio, ma come Fratello che ci chiede innanzitutto di amarci tra noi secondo il suo esempio, quando invece avrebbe potuto chiederci di amare Lui sopra ogni cosa. Mostrandoci così che la via per amarlo è la cura per i fratelli e le sorelle.

Questa è la “caritas” che l’esperienza musicale a cui si è potuto assistere in duomo è in grado di restituire “eleganza”. Nella prospettiva del cristiano, il riconoscimento dell’Eucaristia – in quanto pane e carne del Signore – come unico vero bene per la vita è la chiave di volta per riscoprire il valore della caritas, l’amore fraterno praticato in primis proprio da Cristo e da lui consegnato come il più importante dei comandamenti. L’essenzialità dell’esperienza cristiana è tutta qui: “nella celebrazione eucaristica la Chiesa ferma se stessa, si fermano i discorsi edificanti e le opere, e ci si espone al corpo di Cristo, colui che ti guarda, ti tocca e ti guarisce”. L’eucaristia deve quindi “mantenere vivo il carattere ospitale e accogliente del corpo del Signore”.
Come ho già avuto modo di scrivere riflettendo su questo momento di elevazione spirituale in musica, non ho potuto fare a meno di sentirmi interpellato in relazione al mio essere musicoterapeuta in diversi ambiti di cura, ogni giorno a contatto con la “carne sofferente” di tanti fratelli e sorelle: menti che a tratti non ricordano più se stesse, corpi fragili che sono al tempo stesso scrigni di una vita che merita di essere accolta e ascoltata, persone che vivono più o meno consapevolmente il concludersi della propria esistenza, uomini e donne che non sono nelle condizioni di potersi aprire alla comunicazione con quella facilità che troppo spesso diamo per scontata; dimentichiamo che non esiste una “normalità” capace di definirci esseri umani solo in quanto sani, ma che esiste la carne – e lo spirito – di ciascuno di noi, più o meno piagata e dolente, ma già risorta, degna di amore e di essere sempre riconosciuta nella sua bellezza, anche quando costa fatica. Forse proprio il mistero della musica (uno dei doni più preziosi nella creazione) ci può aiutare ad approfondire la comprensione della dimensione trascendente della vita: oltre il limite e il dolore, c’è sempre la bellezza di un dono che si moltiplica quando lo si mette in comune. È questo che può avvicinare Eucaristia e musica.
L’esperienza stessa di contatto con la musica, anche per come la musicoterapia può favorirla, ne esce in un certo senso trasfigurata. Attraverso l’incontro con il limite, la disabilità, la sofferenza e la malattia, la “caritas” fraterna può svelare la propria elegante dolcezza: non si limita a offrire una prestazione di cura – che oltre alla buona volontà deve necessariamente essere sempre professionale – ma si ferma innanzitutto ad ascoltare la vita dell’altro, mostrandogli che ci sono note, talvolta dolenti, o silenziose e ineffabili, che ci stanno a cuore. E, per il credente, sono note che non sono sconosciute a Dio.
Simone Majocchi, musicoterapeuta
- Articolo pubblicato su Dialogo, mensile dell’Azione Cattolica diocesana – mese di Ottobre
