Nella ricorrenza dei 1700 anni dal Concilio di Nicea la Conferenza episcopale lombarda per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso ha promosso un convegno intitolato “Nicea 325 – 2025. Un concilio da non dimenticare” tenutosi lo scorso mercoledì 6 novembre a Brescia, nel Centro pastorale Paolo VI, in via G. Calini 30. L’introduzione è stata condotta dal vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, delegato della Conferenza episcopale lombarda per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, mentre il coordinamento e moderazione è stato affidato a Mons. Roberto Vignolo, docente emerito di Sacra Scrittura nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, teologo, sacerdote della diocesi di Lodi dove è anche presidente della Commissione ecumenismo e dialogo.
Il programma della giornata è stato molto ricco, a partire dal messaggio di Sua Santità Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico, e il messaggio del cardinale Kurt Koch, prefetto del dicastero per la Promozione dell’unità dei Cristiani.
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Sono stati tre gli interventi di altissimo livello: il primo della professoressa Cristina Simonelli, della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e Facoltà Teologica del Triveneto, su “Nicea: perchè e come. Ragioni e sviluppo”. Il secondo su “Cristo ieri, oggi e sempre. Dimensione cristologica ed ecclesiologica del concilio niceno”, con monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara. Dopo pranzo, per “La forza del dialogo. Origine e cammino dell’Ecumenismo alla luce di Nicea”, interverrà il professor Riccardo Burigana, docente di Ecumenismo alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. Sulle tre relazioni ci sarà spazio per un dibattito nel primo pomeriggio, in conclusione al convegno regionale.
Nel linguaggio filosofico esiste un concetto affascinante: Eingedenken. È in tedesco perché proviene da un’idea nata dalla prosa espressionista del giovane Ernst Bloch – l’autore de “Il principio di speranza” – e passata poi a un altro filosofo tedesco, Walter Benjamin, che ne ha fatto un concetto cardine del suo pensiero. Senza dilungarsi nell’etimologia, il termine è stato tradotto sapientemente in italiano non letteralmente come rimemorare, ma come immemorare sottolineando più l’atto capace di portare alla luce le potenzialità inespresse che giacciono nel passato. Eingedenken è paradossalmente “ricordo del futuro”: irruzione nel presente di potenzialità inevase che attendono una redenzione. Questa irruzione nel presente di un’esigenza che viene dal passato è un’esperienza che possiamo vivere sia a livello personale, ma è ancora più impattante in quanto parti di una comunità, di una Storia condivisa. È l’esempio dell’Angelus novus di cui parlava Benjamin: un angelo trascinato da un vento forte verso il futuro, un futuro a cui volge le spalle mentre tiene lo sguardo rivolto al passato come “una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine” e mantiene però l’ansia di trattenersi e destare i “morti” per rendere loro giustizia.
Da questa prospettiva, l’occasione di tornare a riflettere su Nicea 325-2025 (“un concilio da non dimenticare” recitava il sottotitolo del convegno tenutosi il 6 novembre scorso organizzato dalla Commissione Ecumenismo e Dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Lombarda a Brescia, presso l’Istituto Paolo VI.) è per l’appunto: ricordo di futuro. Un’eco e una visione confermata anche dalle parole di Mons. Malvestiti, vescovo di Lodi e referente CEL per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso nella sua introduzione ai lavori:
“L’interpretazione del passato e del presente, nonché le opportunità future di tale cammino, registrano ai nostri giorni una preoccupante crisi per quanto sta avvenendo alle porte d’Europa e in Medio Oriente. Nicea rispose al mandato di Gv 17,21: ut unum sint”.
Il ritorno, quindi il futuro, all’eredità di Nicea – sotto ogni punto di vista: storico, filologico, politico e filosofico – con il giubilo che attende l’anno 2025 contribuirà alla qualità sinodale della missione ecclesiale nel mondo, come auspicato da papa Francesco. In particolare, trasformando la casualità della celebrazione comune della Pasqua in destino (Gv 17, 21). E non è forse questo l’atto d’amore ecumenico più nobile: trasformare una contingenza presente in un futuro stabile gravido del ricordo del simbolo niceno-costantinopolitano. E non è forse questo un segno visibile e concreto per i molti che oggi si sentono esclusi, disinteressati e indifferenti a questi argomenti? Un segno di pace e concordia della comunità cristiana per tutto il mondo, quel mondo che assomiglia molto alla “sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine”? Una testimonianza autenticamente apostolica.
Luca Servidati