Il cardinal Pizzaballa ha parlato di un doppio trauma per gli israeliani e i palestinesi: «Arginiamo la deriva del linguaggio»

In Terra Santa una spirale d’odio: «Dobbiamo ricostruire la fiducia»

Il patriarca di Gerusalemme ospite dell’edizione 2024

«Tra le due popolazioni oggi c’è un sentimento di solitudine, vogliamo sentirvi vicini». Il patriarca di Gerusalemme ha fatto riferimento all’empatia, ieri sera in cattedrale a Lodi, come a un balsamo capace, se non proprio di curare, almeno di alleviare il profondo dolore che in questi giorni lacera la Terrasanta. Ha parlato a braccio, per una mezzora abbondante, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, davanti a una chiesa gremita, su invito del vescovo di Lodi, in occasione del Colloquio di San Bassiano, che tradizionalmente si tiene un mese dopo la festa patronale.

Colloquio di San Bassiano 2024

  • L’impegno della diocesi si concretizza quindi nella preghiera, ma anche nel sostegno con iniziative di approfondimento e di confronto, non meno che con iniziative di carità, nella consapevolezza che i popoli piegati dalla guerra, dalla fame, dalle difficoltà hanno bisogno dell’impegno condiviso perché si possa costruire insieme un futuro di serenità che poggi su basi solide e speranze concrete. La Diocesi di Lodi, insieme alla Caritas diocesana, aderisce alla campagna di raccolta fondi promossa dalla CEI e da Caritas Italiana.

Come avvicinare la pace, si è chiesto il patriarca, non nascondendo che in questo momento la strada è in salita. «Se per pace si intende un epilogo felice dovremo aspettare qualche generazione – ha affermato -. In questo momento non c’è il contesto adatto per arrivare alla pace, perché le ferite hanno bisogno di tempo per essere curate ». I cristiani però non possono perdere la speranza e dunque, oggi, «è importante arginare la deriva di odio, che si manifesta soprattutto nel linguaggio; e occorre lavorare per creare occasioni per ricostruire la fiducia e questo non si fa solo con le parole, ma anche con i gesti. Come Chiesa possiamo costruire occasioni di incontro e di relazione attraverso le nostre istituzioni, i nostri ospedali, le nostre chiese». Non sono solo le bombe a disegnare un futuro pieno di incertezza nella terra in cui si incontrano le tre grandi religioni monoteiste.

«Ciascuno – ha denunciato il patriarca, parlando di israeliani e palestinesi – si sente vittima, ma si sente la sola vittima e questo rende la lettura degli eventi molto complessi».

Un invito a non banalizzare la situazione dunque, a non ragionare solo da un unico punto di vista, ma anche la constatazione che la guerra, al di là delle dolorosissime perdite umane, ha messo all’angolo la fiducia, pietra fondamentale sulla quale costruire un futuro di pace. «A Gaza la situazione è drammatica – ha evidenziato il cardinal Pizzaballa – il 90 per cento della popolazione è sfollata, e stiamo parlando di circa 1,8 milioni persone. Gran parte della popolazione è ammassata nella zona di Rafah, per la strada, dove non c’è assolutamente nulla. Tutte le infrastrutture al momento sono distrutte. Per la ricostruzione ci vorranno anni, la domanda però è: nel frattempo cosa si fa?».

Sua Beatitudine Card. Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme

Preoccupa anche la situazione della Cisgiordania, dove si trovano Betlemme e Jenin, quest’ultima legata al Lodigiano per gli aiuti che negli anni sono arrivati grazie ai Lavoratori Credenti di don Peppino Barbesta.«Ci sono circa 3 milioni di palestinesi in un’area che, fino a un paio di settimane fa, era ermeticamente chiusa. E per effetto di questo si sono creati grossi problemi economici perché le due fonti di reddito della popolazione palestinese qui sono i pellegrini e il pendolarismo verso Israele». A Gaza e in Cisgiordania in questo momento mancano viveri, acqua e medicine. Ma l’orizzonte, oltre le bombe, resta nero, perché «la leadership politica da ambo le parti (Abu Mazen e Netanyahu, ndr) è molto indebolita». «Nella società israeliana il consenso verso la guerra è abbastanza largo, così non è per il consenso per il primo ministro». Quanto ad Hamas, «oggi è molto popolare tra i palestinesi perché è considerata l’unica che è riuscita a resistere a Israele; al tempo stesso, per Israele, Hamas è il male assoluto». Anche la lettura di quanto accaduto lo scorso 7 ottobre è diversa. «Per la popolazione ebraica si è trattato di un choc incredibile non ancora superato. Israele era la casa degli ebrei, il luogo dove si sentivano al sicuro. Il 7 ottobre invece hanno scoperto che a casa loro non si sentivano più sicuri e dal quel momento hanno iniziato a sentirsi minacciati nella loro stessa esistenza. Per Israele quello in corso è un conflitto esistenziale». Il 7 ottobre, ha sottolineato il patriarca, «ha riportato il popolo ebraico all’esperienza dell’Europa di 80 anni fa, è riemerso un trauma». «Per i palestinesi invece il 7 ottobre non è un inizio, per loro il conflitto è iniziato 75 anni fa e la novità sta nella intensità degli eventi. Per i palestinesi il grosso trauma è ciò che sta avvenendo a Gaza, un grosso choc perché non c’è mai stata una violenza di queste proporzioni, per la prima volta peraltro documentata con i telefonini. Se gli ebrei guardano a ciò che è successo 80 anni fa in Europa, i palestinesi oggi guardano a un altro trauma, la Nakba del 1948 (l’esodo, ndr) e temono ancora una volta di doversi spostare altrove».

Guardare con occhi fiduciosi al negoziato per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi israeliani dunque oggi è molto difficile, perché, per tornare alle parole del patriarca, «i punti di partenza sono molto distanti e la comunità internazionale non riesce a imporre una linea».

*estratto dell’articolo di oggi, 21 febbraio 2024, di Lorenzo Rinaldi, direttore de il Cittadino

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