Sabato pomeriggio in una cattedrale gremita l’ordinazione episcopale di monsignor Cesare Pagazzi

Il “nostro” don Cesare è vescovo

«Come vescovo cerca sempre di imparare dai poveri»

Le guarda bene in volto ad una ad una, don Cesare, le persone che benedice in cattedrale nel suo primo atto da vescovo. È appena stato consacrato e dopo aver benedetto i vescovi sull’altare, percorre la navata centrale tracciando il segno di croce verso la sua famiglia, i sacerdoti, fino in fondo ad arrivare al gruppo di Gradella che lo saluta come un arrivo a casa. Ma chiediamo scusa se ci sentiamo un po’ tutti la sua casa, quelli in cattedrale e quelli che seguono dal canale YouTube della diocesi di Lodi.

Il “nostro” don Cesare è vescovo. Ad accompagnarlo fino all’altare, monsignor Roberto Vignolo e monsignor Iginio Passerini, che lo ha presentato al cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e ha letto il mandato del Papa. “Impegniamoci a costituire nella Chiesa una dimora accogliente, per una pace disinteressata”, ha scritto Francesco al diletto figlio Giovanni Cesare Pagazzi, segretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione.

Ordinazione episcopale di Mons. Pagazzi

“Il nostro pensiero è dunque corso a te – sono le parole del Papa -. Ti osserviamo nel tuo diligente operato a servizio e beneficio dell’educazione nella Chiesa. In ragione di questi tuoi meriti ti nominiamo arcivescovo titolare di Belcastro. Il Signore ti conceda, per l’intercessione di San Bassiano, di vivere l’episcopato rivestendoti di umanità ed equilibrio ed essere un ministro gioioso di Cristo, che faccia della Cultura una pietra angolare della Chiesa”.

In una cattedrale gremita ben prima delle 16, oltre alle autorità, alle parrocchie e associazioni per cui don Cesare ha operato, agli amici incrociati negli anni, erano presenti numerosi sacerdoti dal Lodigiano, dalla Lombardia, da tutta Italia e oltre. Venticinque quelli del Seminario lombardo di Roma. Ma anche monsignor Davide Milani decano di Lecco e già portavoce della diocesi di Milano, il gesuita Antonio Spadaro già direttore de “La Civiltà Cattolica” e ora sottosegretario al Dicastero per la Cultura e l’Educazione, il pastore di Graz- Seckau, in Austria; monsignor Paolo Braida, Capo Ufficio della Segreteria di Stato Vaticana, insignito del “Fanfullino” in occasione della recente festa patronale di San Bassiano.

«La terra di San Bassiano e la Chiesa che fondò nel quarto secolo sono partecipi di un dono che impegna per grazia tutti noi – ha detto il vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Malvestiti, concelebrante -. Il nuovo arcivescovo potrà andare nella missione ecclesiale, non sapendo le cose che verranno, ma nella certezza che lo Spirito porterà a termine il suo messaggio: rendere testimonianza alla sua grazia ».

Poi un saluto al Dicastero per la Cultura e l’Educazione cattolica, “quasi in diaspora lodigiana”, il cardinale Prefetto, l’arcivescovo segretario e i sottosegretari e tutti i componenti «con il quale il nuovo arcivescovo collaborerà, affinchè cultura ed educazione incontrino sempre più il pensiero di Cristo, nell’imprescindibile scelta del dialogo con tutti». Il cardinale José Tolentino de Mendonça, che ha presieduto, ha detto: «Siamo questo pomeriggio un po’ l’autobiografia di don Cesare, ognuno di noi rappresenta una parte del suo cammino, che in questa celebrazione riceverà la pienezza del sacerdozio. In una sorte di Pentecoste che è l’ordinazione di un vescovo, che lo Spirito Santo sia il protagonista della storia della Chiesa e riempia il cuore e la vita del vescovo che sarà ordinato». Poi nell’omelia: «C’è una Cafarnao nella biografia di ciascuno di noi. La tua Cafarnao, carissimo Cesare, si chiama Lodi. Tu la conosci bene. Ma oggi anche tu entri in Lodi per accompagnare Gesù in una esperienza destinata a modificare la propria esistenza». Inoltre: «La verità della fede è gridata dalle pustole dalle ferite aperte dell’umanità, dalla carne tumefatta. È sussurrata dall’odore della fragilità decomposta. Ha voluto la liturgia di questo giorno che fosse tuo maestro un lebbroso, che tu avessi per pedagogo un povero escluso dal contatto sociale e religioso, rappresentante di tutti coloro che sono condannati ad un lockdown umano permanente. Tu che già sei come teologo un maestro apprezzato e che come vescovo avrai come missione di essere araldo della fede, devi riservare a questo lebbroso un posto speciale. Come vescovo, cerca sempre di imparare dai poveri e con i poveri le verità che dovrai vivere e annunciare. Diventa umilmente quello che il Signore Gesù vuole ed esprimi, nella missione che ti è affidata, quello che Cristo può. Gesù varca le frontiere e ha manifestato il suo potere in un lebbroso. Ne ebbe compassione, lo toccò e disse “lo voglio”. La Chiesa di Cristo è la Chiesa della compassione – ha detto -. Significa: non sei solo, prendo parte alla tua solitudine. Nulla a questo mondo è più urgente della compassione. E il ministero del vescovo è il ministero della compassione. Gesù insegna a stendere la mano su un intoccabile e sugli esclusi di tutti i tempi. Quella stessa mano che la Chiesa, caro Cesare, oggi stenderà su di te. Confida nello svuotamento di te, nell’impotenza che tante volte sperimenterai, apprezza come generativo dono la tua povertà, questo ti farà dipendere sempre più da Cristo».

Infine ha citato il cardinale Martini e Ambrogio e augurato: «Sentiti custode del principio petrino e mariano, sii paterno e materno, attivo e contemplativo, servo della Parola e cultore instancabile dell’ascolto e del dialogo. Maria Assunta cui è dedicata la tua amata cattedrale di Lodi sia la stella del mattino che porterai incancellabile nel tuo cuore di pastore». Ed ecco l’apice dell’ordinazione. “Vuoi adempiere fino alla morte il ministero a noi affidato dagli apostoli? Vuoi prenderti cura con amore di padre del popolo santo di Dio?” Il “Sì, lo voglio”, ha quindi visto don Cesare steso sul pavimento del presbiterio, tutta la cattedrale ad elevare le litanie. Alle 17.15 l’imposizione delle mani del cardinale José Tolentino de Mendonça, poi di monsignor Malvestiti, di monsignor Paul Tighe l’altro segretario del Dicastero, monsignor Egidio Miragoli vescovo lodigiano di Mondovì, e tutti i diciotto vescovi presenti (diciannove a fine celebrazione, venti con monsignor Pagazzi) tra cui monsignor Giuseppe Merisi vescovo emerito di Lodi. I vescovi hanno affiancato il cardinale nella preghiera dell’ordinazione, mentre sopra il capo di don Cesare il libro dei Vangeli era sorretto dai diaconi permanenti. Quindi l’unzione con l’olio. Ed eccolo lì, il nuovo vescovo. Seduto al centro del presbiterio con l’anello, la mitra, il pastorale che teneva forte, mentre il sorriso sereno di prima si distendeva in maniera del tutto nuova, quasi infinita, e tutta la Cattedrale si scioglieva nel lungo applauso. «Sono stato consacrato con lo Spirito Santo che sa di voi. Questo ora è il mio profumo», ha detto il nuovo vescovo.

In serata il rinfresco in Seminario. Ieri alle 10 la Messa alla Fondazione Cabrini di Sant’Angelo; domenica 18 febbraio alle 10.30 a Gradella. Monsignor Pagazzi continuerà a svolgere il suo servizio come professore ordinario di Ecclesiologia e comunità familiare al Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per le scienze del Matrimonio e della famiglia della Città del Vaticano, consultore del Dicastero per la Dottrina della fede e segretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione.

di Raffaella Bianchi

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