
Con l’augurio all’intera comunità lodigiana, pongo subito una domanda. La Pasqua del giubileo consentirà alla “pesca del Risorto” di abbondare? L’immagine di prima pagina ne descrive una prodigiosa ispirata dall’evangelista Luca (5,1-11). In essa Pietro è alle prese con un Maestro, figlio del carpentiere di Nazareth, che sconvolge il vivere ordinario, esercitando però un fascino irresistibile per i gesti e le parole che gli conferiscono una autorevolezza non comune. È soprattutto la sua libertà ad essere contagiosa, radicata com’è nella dimensione dello Spirito. Per rispondere alla domanda iniziale bisogna però considerare la pesca narrata da Giovanni (21,3-11). Quella lucana avvenne nel tempo della predicazione mentre la giovannea è collocata dopo la risurrezione. Ad agire nella seconda è il Risorto con sette discepoli. Il numero biblico altamente simbolico conferma l’allusione al compimento del tempo.
La rete nella “pesca del Risorto” è straripante di pesci “…e benché fossero tanti, non si strappò”. Cristo attende i discepoli dalla riva non sulla barca come in Luca. Le reti sono tirate a terra. Tutto concorre a definire la fine del tempo. Abbonderà dunque la pesca? Certamente, alla fine tutti e tutto saranno posti nelle mani del Risorto che consegnerà il Regno a Dio Padre. Ma vorremmo che debordasse fin da ora oltre ogni confine culturale, storico e geografico, e ancor più religioso, nella ricerca di ciò che unisce lasciando da parte ciò che insiste nel mantenerci lontani. Il giubileo si rivolge per sua natura a tutti, ovviamente interpellando per primi i battezzati. Li invita a lasciarsi pescare e ripescare da ogni fallimento o debolezza, come da ogni sconfitta, e – per parlare chiaro – da ogni peccato, che è tradire l’amore e la vita, stante il largo perdono accordato al caro prezzo del sangue di Cristo. Ma poi li vuole pescatori di uomini. Lungi da qualsiasi indebito senso di superiorità, ogni battezzato deve ricordare che quanto è avvenuto nella sua vita va offerto a tutti senza imposizioni ma in modo convinto, pena la perdita anche per sé del dono ricevuto. Anzi è il battezzato che non può star quieto se non comunica la novità che regge la sua vita e lo fa comunque sperare mentre sperimenta la precarietà personale e quella clamorosa della storia.
C’è un mondo da ripescare dall’apparente tramonto delle democrazie, dal disordine finanziario, dall’irrilevanza di organismi di tutela della sicurezza e della pace globale, dal “branco del terrore” come è chiamata la riorganizzazione di estremismi dipendenti da regie e interessi oscuri, con l’economia in affanno e il clima ormai intrattabile. Se poi entriamo nel comparto dei diritti umani e delle relazioni tra generazioni e nel mondo dell’educazione lo sconforto non può rifugiarsi nell’intelligenza artificiale ma nemmeno nella chiusura da pandemie della paura. Tutto così cupo? Proprio no. La pesca del Risorto abbonderà. Lo sostiene la speranza, che bussa ormai a tutte le porte mostrando la sua capacità di generare futuro con l’ardire di definirsi “speranza che non delude” (Rm 5.5). Da pescare con pazienza notte e giorno sono i segni di speranza, che non mancano. Ve n’è uno veramente singolare ed è la data della Pasqua che quest’anno coincide per tutti i cristiani.
La questione è aperta dai tempi di Policarpo (secolo II), discepolo dell’apostolo Giovanni e vescovo di Smirne (in Turchia), che raggiunse Roma per concordare una data comune. Come, del resto, tentò di fare il primo concilio ecumenico, quello di Nicea celebrato nel 325, esattamente 1700 anni orsono, lasciando la questione irrisolta dopo avere però provvidenzialmente avviato l’elaborazione della norma della fede (il credo). Nicea definì il Figlio Gesù “della stessa sostanza del Padre” e quindi vero Dio e vero uomo offrendoci la peculiarità della salvezza cristiana. Se è così, infatti, alla vita e all’amore si apre un oltre e il finire umano non è l’ultima parola. Se è così, la speranza alla quale la fede dà sostanza può reggere l’urto del dolore e del morire. Il significato ecumenico di questa Pasqua comune incrementa la collaborazione interreligiosa già in atto. Non facile è il percorso nei due ambiti ma sono espressioni anch’essi molto apprezzabili dell’abbondante pesca del Risorto, che offre “pace a tutti”, come ricordano nelle loro liturgie i cristiani orientali. Sono sempre più presenti nella società, anche tra noi, coi credenti di altre religioni e innumerevoli laici che rispettano la fede altrui e meritano altrettanto rispetto nel convincimento che realmente apparteniamo alla stessa umanità. Così l’unità è l’unica carta che ci rimane da giocare con intelligenza e cuore.
Per i cristiani fidandosi del Risorto, che è un buon pescatore. Il segno di speranza insuperabile rimangono però i giovani, che papa Francesco definisce coi loro sogni, le loro delusioni e persino le debolezze sempre e comunque “gioia e speranza della Chiesa e del mondo”. E il vescovo di Lodi è pienamente d’accordo.